LA MALEDIZIONE DEL CLOCHARD

”Io resto a casa” ma la vera domanda è: chi una casa non ce l’ha?

La condizione nel quale versano coloro i quali, per le più svariate problematiche, non hanno un tetto sotto il quale vivere, la possibilità di avere un pasto caldo a fine serata oppure un semplice lavoro che potrebbe restituire loro la dignità non è il solo ostacolo nei tempi che corrono oggigiorno.

Il termine ‘’maledizione’’ è volutamente stato utilizzato: una maledizione che in tempi come i nostri cozza con il dovere di fare ‘’la cosa giusta’’ in virtù dell’inalienabile diritto alla salute di ognuno, nessuno escluso (o almeno così si presume). 

L’Art. 32 della nostra Costituzione afferma con forza che ‘’La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]’’ ma l’assetto teorico di quanto enunciato entra in contraddizione con la pratica se posto a una trazione più forte di quanto avvenuto fino ad ora. È la condizione che oggi sta caratterizzando la nostra realtà costringendola a piegarsi di fronte a un problema di cui, sino ad oggi, si era ignorata la reale portata proprio mentre la Cina era già ai ferri corti con un rischio pandemia in seguito alla diffusione del COVID-19. Un virus che sin da inizio febbraio, nel nostro Paese, ha iniziato a manifestare la sua reale gravità inarcando sempre più la nostra economia, la salute pubblica e soprattutto le nostre vite. Il picco è ancora una boa lontana ma questa situazione ha costretto tutti a cambiare le abitudini di vita oltre ad aver portato quasi al collasso il sistema sanitario.

Tuttavia mentre le vite proseguono alla stregua di flashmob solidali, canti, inni rintanati all’interno delle proprie case, salvo eccezioni, al caldo dei propri divani e con l’affetto dei propri cari, una realtà più buia è stata dimenticata dagli innumerevoli Decreti e disposizioni anti-covid19 emanati.

Per questo motivo parlo di ‘’maledizione del clochard’’.

Perché è in momenti come questi che inizia sempre più a delinearsi uno spaccato sociale dove chi era pronto all’aiuto ora ha sé stesso da salvaguardare e non ha più tra le priorità quella di aiutare l’altro. La realtà delle persone prive di una propria abitazione, comunemente definiti clochard, proprio in questi giorni sta subendo un peggioramento senza precedenti: privi di sostegni a causa delle varie realtà territoriali chiuse per evitare il contagio, privi di sostegni economici dalla gente comune poiché rintanata all’interno delle proprie abitazioni, centri diurni chiusi… sono davvero poche le realtà che in momenti come questi continuando ad erogare i propri sostegni per tendere una mano di speranza a queste persone che ammontano a una cifra non indifferente, all’incirca 50 mila, solo all’interno del nostro Paese.

Mentre in alcune città vengono ancora garantiti i servizi minimi quali dormitori per la notte, docce, cibi caldi distribuiti dalle mense, sempre con la fatica di far rispettare le normative anti-contagio, in altre i servizi che più si occupavano di questa considerevole fetta di popolazione hanno chiuso i battenti di fronte a un’emergenza che non potevano gestire.

In momenti come questi non importa la motivazione per il quale si rimane relegati ai margini della società poiché, di fronte a un’emergenza nazionale, l’essere clochard non è solo la condizione di una vita alla deriva ma diviene una colpa dal quale non è facile uscire: ‘’La miseria di chi viene espulso, considerata un tempo come un male prodotto dalla società, alleviabile con i mezzi collettivi, oggi può essere ridefinita soltanto come la conseguenza di un crimine individuale’’. [Z. Bauman in Lavoro, consumismo e nuove povertà (2004)]. Sono preconcetti come questi che in questi giorni duri hanno indotto alcuni detentori dell’ordine pubblico a sanzionare chi vive con questa colpa e che non può vantare un’autocertificazione che spieghi il reale motivo dei propri spostamenti; per tali ragioni ci si chiede cosa è opportuno fare quando tali realtà cozzano? Quando le disposizioni dicono di restare a casa ma per alcuni è proprio la strada la propria casa?

Sono i casi in cui prende forma l’ingiustizia e il fanatismo.

Ma mentre ci si sente sollevati nel venire a conoscenza che tali ‘‘sanzioni’’ non avranno seguito oppure mentre si scopre che le altre sono state già prese in carico da alcune Associazioni si dimentica la questione di fondo, la quale non rappresenta un mero problema economico ma un problema sociale ben più radicato; un problema che in quanto collettività dovremmo considerare e contro il quale sarebbe opportuno manifestare il proprio dissenso evitando inutili scambi di colpe. Sarebbe bene prendere consapevolezza del fatto che se esistono dei vuoti all’interno della disciplina è proprio perché questa realtà, di fronte alla propria salvaguardia, è stata completamente dimenticata e, riprendendo la citazione di Bauman, questa diviene condizione per la quale si può tranquillamente essere esclusi dalla società imputando esclusivamente a sé stessi la colpa del proprio presente e del proprio divenire.

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Roberta Marasco

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